E’ forte la testimonianza pubblicata sui social dal dott. Giangiuseppe Dalena, primario del reparto di Cardiologia presso l’ospedale “Santa Maria degli Angeli” di Putignano, che racconta il “dramma” della sua esperienza di medico impegnato in un reparto Covid.
Anche oggi inizia un altro giorno, un giorno di sofferenza, un giorno a contatto con la sofferenza. Ormai sono due settimane che il nostro ospedale, quello di Putignano, è stato trasformato in ospedale Covid. Finora avevo solo sentito parlare di questi ospedali, ma ora ne ho un’esperienza diretta. Ogni giorno per me è diventato un incubo. Passi che faccio un lavoro che non è il mio: infatti ho esercitato da cardiologo per quasi 30 anni ed ora mi ritrovo a fare lo pneumologo; mi sono reinventato pneumologo. La cosa peggiore è entrare in quel reparto, vedere i nostri pazienti che combattono per un respiro. Sì respirare; la cosa che per noi è naturale, ovvia, automatica, per loro è diventata l’obiettivo della propria vita. Ogni giorno sperano, ed io con loro, che il loro respiro sia più adeguato alle proprie necessità rispetto a al giorno prima. Ognuno di loro, prima di essere ricoverati, ha ascoltato i dati in televisione, in radio, li ha visti su internet ed i social media, ognuno di loro sa di essere affetto da una patologia che potrebbe essere letale, ma combattono, continuano a combattere per respirare. Noi operatori sanitari siamo tutti bardati, una bardatura difficile da sopportare per un intero turno di servizio, ma che ha il vantaggio di nascondere le nostre emozioni. Nasconde ai nostri pazienti l’angoscia che abbiamo nel nostro cuore nel vedere questi uomini e queste donne, spesso della nostra stessa età o anche più giovani (l’età non è importante), che rischiano di perdere la propria vita e noi siamo inermi, abbiamo pochissimi mezzi per reagire. Tuttavia ci stringiamo la mano; è vero la mano inguantata, ma attraverso il guanto mi giunge l’energia che quel paziente mi vuole trasmettere ed io cerco di trasmettere a lui la mia. Anche se sono bardato loro mi riconoscono subito, non c’è bisogno di vederci in viso, comunichiamo attraverso qualcosa di intangibile. Ed entriamo in comunione, una comunione che mi esaurisce, ma spero dia a loro la forza per continuare a combattere; combattere contro un nemico invisibile, ma letale. Poi vedo in televisione autorevoli esponenti politici, che protestano perché venga restituito agli Italiani il Natale. Comprendo l’angoscia di chi sta vivendo in condizioni di restrizione economica in questo momento, ma la vita di ogni singolo essere umano va tutelata. Nei cartelli di questi contestatori ho notato come i due messaggi che inviavano spingevano alla morte di esseri umani. Da un lato si invitava il governo ad “aprire tutto”, causando la morte degli Italiani, dall’altra si invitava a “chiudere i porti”, causando la morte di coloro che scappano dalla fame e dalla guerra nei propri paesi. E tutto nel nome del Natale, la festa che celebra la nascita di colui che ci ha invitato a rispettare la vita di tutti gli uomini, a prescindere che si tratti di nostri connazionali oppure extracomunitari. La battaglia che combattiamo con i nostri pazienti per tutelare la vita viene minata dal comportamento di chi incita alla morte. Morte e Vita che si oppongono. Come in ospedale così nella nostra società. Amici, vi invito a riflettere su questi miei pensieri, che potete benissimo non condividere, ma rifletteteci. Vi invito a preservare la vita, come la nostra così quella degli altri, perché essa è preziosa. Come prezioso è ogni singolo respiro di un malato di polmonite da Covid. Buona giornata a tutti.