Una tromba che sfiata sembra volteggiare rilassata, come se provasse a sciogliere l’afa. Intanto, un rullante rompe il silenzio: non è un colpo deciso, ma un passo incerto, come di chi si avvicina senza disturbare. La scena è quella di una casa immersa nella campagna delle Murge, in un assolato pomeriggio d’estate che sa di finestre socchiuse e tende che si muovono al vento. Dentro, una donna anziana impasta. Le sue mani, legnose e carezzevoli, si muovono lente, sapienti, e sembrano danzare con l’impasto che per l’occasione si fa onda. Ogni gesto è un ricordo che prende forma, un suono che non ha tempo.  Non è un’istantanea, è un ricordo. Ma è anche il presente. E forse nemmeno importa.

Con questo racconto si apre “Meno male”, il primo EP di ERAÈMME, pubblicato su tutte le piattaforme venerdì 2 maggio. ERAÈMME è (o era?) Marco Erasmo Lassandro, cantautore putignanese, classe 1993. “Meno male” è la sua prima pubblicazione per Dischi Uappissimi, che contiene sei brani, tra cui due singoli pubblicati tra il 2023 e il 2024.

Meno male è un disco che non chiede permesso prima di entrare. Ma si accomoda in silenzio, con la naturalezza di chi ha qualcosa da dire senza dover alzare la voce. È un incontro tra cantautorato, pop e sfumate ispirazioni R&B. Non segue le regole del genere: ogni brano si muove libero, con andatura propria, come se seguisse un moto interiore, più che una struttura esterna. Ci sono tante immagini, tante sensazioni. C’è intimità, c’è una fragilità che non intende nascondersi. Anzi, si espone, si mette a nudo, si fa suono e parola. L’EP sembra composto più da respiri che da canzoni: respiri intimi, talvolta affannati, talvolta sospesi, che cercano spazio tra le pieghe di una quotidianità piacevolmente sospesa in un tempo indefinito. Il risultato è un lavoro viscerale, che procede al ritmo delle emozioni. Non insegue una direzione, ma si lascia trasportare e si concede soste improvvise, come chi cammina senza fretta, né una meta precisa. È una raccolta di brani che somiglia più a un vecchio diario che a una scaletta: ogni pagina ha il suo ritmo, il suo tono, il suo passo.

Dopo Onde di pasta, che introduce con delicatezza questo mondo sospeso tra memoria e presente, Supernova accende un’altra luce: più netta, più decisa. È il brano più radiofonico dell’EP, il secondo dei due singoli pubblicati in anteprima (puoi vedere qui il videoclip: https://www.youtube.com/watch?v=ItggelxxZDk). Qui la scrittura resta intima, ma si lascia attraversare da un groove ancora più riconoscibile, da un ritmo che invita al movimento. Questa volta il protagonista è l’amore. Più precisamente, la sua fine. Una mancanza, un vuoto, osservati da una distanza siderale, che rivela silenziosa e senza filtri una fragilità che non richiede compassione, ma ascolto. Le sonorità del pezzo, il suo ritmo in crescendo, gli incisi e il solo finale sono la trasposizione perfettamente a fuoco di un’esplosione di emozioni, che si svela graduale in un climax gravitazionale. Come una stella che esplode e illumina per un istante tutto ciò che la circonda.

Poi arriva Nubifragi e la voce si fa coro. Dopo due brani che guardano dentro, ERAÈMME alza lo sguardo: da personale, la narrazione si fa collettiva. La voce si estende, si intreccia con altre, e la fragilità – finora privata – si trasforma in una crepa condivisa, uno squarcio aperto nel grigio cielo invernale. È qui che il disco assume, in controluce, una dimensione per certi versi politica: non perché asserisce, ma perché osserva, raccoglie e restituisce. È insieme contestazione e liberazione. Non c’è cinismo, ma al contrario una voglia di riscatto istintiva, testarda. Un desiderio incontinente di sfogo. In questo brano, come nei precedenti, le percussioni sono cruciali: pulsano, incalzano, restituiscono il peso dell’attesa e la leggerezza della resa. Le previsioni (non solo quelle meteorologiche) appaiono positive: anche l’inverno finirà e presto potremo uscire senza ombrello.

La quarta traccia è Lungomare. La lucida vulnerabilità del disco qui si fa ancora più tangibile, più esposta. Diventa evidente incomunicabilità. Ma ERAÈMME “scrive canzoni con la stessa frequenza con cui cerca attenzioni” e così la canzone si fa confessione, un atto di coraggio in cui la fragilità si svela senza filtri, come se il mare in lontananza fosse l’unica distanza sufficiente a contenere una simile onestà, lontano dalle luci della ribalta. Qui, le parole e i suoni si fanno onde che vanno e vengono, cercando di ancorarsi a qualcosa di più grande – o forse a nulla, se non a se stesse.

Segue Cinque rintocchi, il singolo d’esordio del cantautore putignanese, pubblicato nel novembre del 2023 (qui il videoclip: https://www.youtube.com/watch?v=26cnG85daCA). Tornano i suoni elettronici, che, insieme alle percussioni (fondamentale, in tal senso, il ride), ci trasportano sempre più sospesi in un tempo indefinito. Qui il disco tocca decisamente il suo punto più profondo. L’ascolto ci porta in una stanza buia, forse senza pareti. Ci sono solo i flash soffusi e disordinati di alcune luci lontane. Le immagini e i suoni si inseguono, si fondono e sfuggono all’ascolto. E il pezzo sussurra leggero un invito a lasciarsi andare, che culmina nell’inciso, una delicata esplosione di emozioni, sensazioni e immagini ben definite. Dopo, la musica sfuma sottile. Infine, il silenzio.

L’outro di Cinque rintocchi sembrerebbe il congedo ideale: una dissolvenza lenta, una conclusione coerente con le sfumature del disco. E invece no. C’è ancora spazio per Terre bruciate. Un ultimo frammento, che irrompe morbido, ma deciso. Sembra una registrazione rubata ad un momento di intimità, che qui si rivela in tutta la sua potenza, che si lascia andare senza paura. Non offre spiegazioni, non chiede di essere compresa. Negli arpeggi delle chitarre, si apre e basta. È un brano aperto, consegnato all’ascolto e alle sue interpretazioni. Il contesto, però, è chiaro: un paesaggio arido, dove l’indifferenza ha spento tutto ciò che poteva dare frutto. Un finale spoglio e potente, che non chiude, ma lascia in sospeso. Come certe verità che non si dicono, ma si lasciano indietro, come scie di cenere e polvere.

Alla fine dell’ascolto, non resta che il silenzio. Non per vuoto, ma per pienezza. “Meno male” non si conclude: dissolve. Resta addosso come l’eco di una conversazione vera. O come certi ricordi che affiorano d’estate, quando si ha il tempo – e il coraggio – di ascoltarsi per davvero. ERAÈMME non alza i toni, ma incide. E lo fa con uno sguardo che accarezza e un suono che scava e trasporta. È il suo primo lavoro. Ma è anche molto di più: è il primo respiro di un’identità musicale già consapevole della propria vulnerabilità, decisa a farne forza. Una promessa mantenuta ancora prima di essere formulata. E per chi ascolta, davvero, non può che restare una certezza sottovoce: meno male.

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